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Messaggio  Admin Lun 19 Ott 2009, 17:40

La recensione del film di Marco Berger

Quando Bruno viene lasciato dalla sua ragazza (con la quale però continua ad andare a letto), il suo piano A, quello di riconquistarla, fallisce. Allora largo al piano B: incontrato per caso il nuovo ragazzo di lei, Pablo, se lo fa amico e lentamente, molto lentamente, finge che all’amicizia subentri un sentimento amoroso nei suoi confronti. Bruno riesce a conquistare Pablo, ma non aveva messo in conto che quella che era partita come una provocazione ed uno scherzo si tramuta per lui in una verità imprevista e a suo modo scioccante.

Per dirla brutalmente: Plan B ha dalla sua un soggetto valido e delle modalità di descrizione dell’amore che lentamente nasce tra i due giovani protagonisti che ha il pregio del garbo e del rifiuto del melodramma: il che si traduce nella capacità di parlare di temi magari a rischio con una sensibilità che fa onore a Marco Berger, regista e sceneggiatore del film. Peccato però che questi pregi, innegabili, siano annegati in una struttura che, complice il basso budget della realizzazione, alterni momenti di eccessivo naturalismo pauperista ad altri in cui sono inspiegabili logorree e dilatazioni visive alle quali si uniscono scelte dove pare che a mancare sia il senso dell’opportunità del (cosa) mostrare.

Berger si affida ai volti e ai corpi dei suoi due protagonisti (Manuel Vignau e Lucas Ferraro), e se sia lui che gli interpreti hanno insieme la capacità di riuscire a comunicare con poco e con poche parole che trattano d’altro la costruzione lenta ma inesorabile di un amore vero, questi apprezzabili momenti di equilibrio vengono penalizzati da momenti dove manca un certo buon gusto, con simbolismi (?) fin troppo sfacciati tesi a suggerire la crescita della tensione erotica tra i due ragazzi, o dove traspare la voglia del regista di essere “artista” ed autore senza che queste ambizioni siano supportate dalle capacità o giustificate dal contesto.

Tutt’altro che memorabile, e a tratti sfiancante per via delle scelte formali, Plan B ha comunque delle qualità, più o meno sfruttate, di cui dovrebbero far tesoro molti cineasti nostrani (e non): quelle relative alla capacità di parlare dell’amore, dei suoi turbamenti e delle sue eventuali sofferenze senza urla o piagnistei, e di descrivere e raccontare l’omosessualità in tutta la sua scandalosa normalità. E questo a volte basta per colpire e risvegliare, magari per pochi istanti, dalla noia generata del racconto.

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